Tradizioni


Profumi e sapori di Bolbeno … i capùs

Aria di sagra e di feste paesane, con i loro colori, i loro profumi e sfrenate allegrie che ti fanno dimenticare, quasi d’incanto, gli affanni quotidiani. Simpatie e calore. Occhi che si guardano sinceri, senz’ombra di malizia. Mani che si stringono. Poche e dosate le parole, forse per risparmiare il fiato per la "canta" finale o per due punti alla morra che poi, naturalmente, diventeranno duecento…
Queste le sensazioni che suscita la ricetta dei "capùs". La riproponiamo così, nel suo linguaggio fresco e spontaneo con il quale ce la raccontano le donne di Bolbeno.
Questa tipica pietanza viene nominata "capùs" (o anche "capucc" a Bondo, Roncone, ecc…) e viene cucinata a Bolbeno e dintorni, in buona parte della Rendena e delle Giudicarie Esteriori, espressamente nelle ricorrenze patronali dei vari paesi, con una certa abbondanza, così che è possibile trovarne un assaggio in tutte le famiglie.
I ¨capùs¨ sono delle polpette avvolte accuratamente in foglie di vite di uva fraga. L’impasto di queste polpette è composto di: pane raffermo, formaggio grana, burro, uova, erbe e coste, prezzemolo, uva sultanina, aglio, sale e pepe.

Si prepara un bel pastone lavorandolo con le mani sulla spianatoia. Si divide in tante polpette che si incartano molto accuratamente in foglie di vite americana lavate e asciugate. Ogni "capùs" va legato bene con dello spago sottile (la trada). I "capùs" vanno poi lessati in acqua per circa venti minuti e vanno offerti freddi, ma sempre avvolti nel loro incarto. Ogni commensale poi li slega, li libera dalla foglia e li assapora, eventualmente li condisce nel proprio piatto con olio ed eventualmente con altro sale e pepe. Si mangiano nel corso del pranzo oppure a merenda accompagnandoli con un buon bicchiere di vino.
Vi assicuriamo che sono molto appetitosi e che anche i "forèsti" pur rimanendo all’inizio un po’ perplessi di fronte al loro aspetto, forse non molto invitante, ne sono quasi sempre conquistati. La loro preparazione è un po’ laboriosa (qui da noi molti cominciano il mercoledì o il giovedì precedente la festività perché amano assaggiarli nella giornata di venerdì), ma la fatica viene senz’altro ripagata dalla gioia che i propri familiari dimostrano all’apparire in tavola di questo profumato piatto.

 

Gli antichi mestieri

Immaginiamo per un momento di avere tra le nostre mani un qualche particolare oggetto che per incanto ci permetta di fare un tuffo nel passato, nel tempo in cui vivere significava principalmente faticare e lavorare duramente. Ed ecco un piccolo paese sperduto tra magnifiche montagne, un campo immenso, uomini dediti a lavorare la terra con il prezioso aiuto di qualche mucca o asino, quelle piccole case una vicina all'altra dove le donne stanno sbrigando con molta fatica i lavori domestici; ma non solo contadini, anche piccoli artigiani quali l'arrotino, il carbonaio, il casaro e tanti altri senza dimenticare le portatrici d'acqua, le lavandaie con la lesciva, le merlettaie al tombolo, il filò delle comari…

Ebbene sì, questo piccolo ma fantastico viaggio nel passato diventa realtà in una giornata di Agosto nel piccolo paese di BOLBENO, situato nella busa di Tione: un giorno come tanti, un viaggio nel passato come pochi … La Pro Loco di Bolbeno cerca di far magicamente rivivere come d'incanto alcuni momenti significativi della vita di un tempo nelle Valli Giudicarie, che diventa una occasione per far riflettere e soprattutto per non dimenticare. Pensiamo ad esempio alla civiltà moderna della tecnologia e del consumismo, che corre tanto velocemente che quasi non ci accorgiamo di ciò che lasciamo dietro di noi, quando vivere voleva dire dedicare ad una dura e avara fatica l'intera giornata, contadini o artigiani che si fosse…

  • CHIODAIOLO (Ciodarol) - È il fabbricante di chiodi. Le fucine da chiodaiolo erano costituite da piccoli fabbricati con uno o più focolari a due fuochi, attorno ai quali quattro o sei blocchi di buon granito sostenevano altrettanti incudini a ¨T¨. Ogni incudine, all'estremità, portava due fori. Nel foro a sinistra, per chi lavorava era fissato un tagliolo, nel foro a destra una matrice poliedrica (sostituibile a seconda dei tipi di chiodi richiesti) con un foro passante. Questi artigiani fabbricavano i chiodi a zappa (broche in dialetto) per scarponi da montagna.
  • ARROTINO (Molèta) - Nel secolo scorso causa le ristrettezze economiche le Valli Giudicarie furono interessate da un intenso fenomeno migratorio verso le vicine regioni. Molti uomini, prima del sopraggiungere dell'inverno, lasciavano il bestiame alle cure dei vecchi, delle donne e dei figli; partivano a piedi spingendo la mola di paese in paese, verso le città della pianura, affilando gli arnesi da taglio e facendo duri sacrifici per risparmiare e poter tornare a primavera con un gruzzolo che doveva bastare per le più urgenti spese di famiglia. Col tempo questo è diventato il mestiere caratteristico dell'intera valle.
  • FERRAIO (Ferèr) - Una volta il lavoro di ferrare i cavalli era così richiesto che alcuni fabbri si erano specializzati e facevano solo i maniscalchi. Per ferrare un cavallo occorre essere un buon fabbro; occorre preparare il ferro di cavallo partendo da una barra di ferro, metterla sulla forgia finché il ferro non diventa ben rosso, poi prenderlo con le lunghe tenaglie e metterlo sull'incudine e batterlo per assottigliare la barra e per curvarla a ferro di cavallo. Poi di nuovo nella forgia e sull'incudine per fare dei buchi nel ferro di cavallo dove entreranno i chiodi che si fissano nello zoccolo.
  • TESSITRICE - Sono ormai molti decenni che questa attività nata per esigenze familiari, ebbe man mano sviluppo e notorietà. In tutti i paesi della valle si svolgeva la tessitura con la lana delle pecore. La tessitura a telaio era praticata in molte famiglie infatti molte di queste avevano nelle loro abitazioni il telaio. Le tessitrici con il loro lavoro rinnovavano un rituale di passaggi e intrecci, colpi ritmati che, visti da fuori, assomigliavano ad una antica danza. Il telaio era di legno ed era un attrezzo di origine antichissima, un po' complesso e di una certa grandezza; era costituito da quattro ritti, tenuti insieme da altrettanti raccordi trasversali. Nella parte bassa, a pochi centimetri dal suolo, si trovavano due lunghi pedali collegati da una corda e da regoli mobili uniti a loro volta a tanti fili provenienti da un asse.
  • OMBRELLAIO (Ombrelèr) – Se una raffica di vento aveva rovesciato la cupola di un ombrello e sconnesso qualche stecca si aspettava di sentire la voce dell’ombrellaio. Questo era un uomo che si faceva vedere, in periodi ben precisi e cioè prima e durante i periodi delle piogge. L’ombrellaio portava con sé una attrezzatura costituita da pinze, filo di ferro, stecche di ricambio, pezzi di stoffa, aghi, filo, spaghi di vario genere tutto in una cassetta di legno sulla quale sedeva durante il lavoro che non era né facile, né breve. L’ombrellaio girava per il paese a piedi alla ricerca di eventuali clienti intanto bussava alla porta di qualche famiglia o gridava ¨Ombrellaio – Ombrellaio¨.
  • DISTILLATORI DI GRAPPA - ¨Lambicàr¨ nel dialetto trentino, ha un duplice significato: lavorare con l'alambicco e cioè distillare grappa, oppure campare una vita grama di fatiche. E proprio la produzione della grappa, in alcune vallate povere del Trentino, serviva a rendere la vita meno amara, portando un piccolo guadagno extra, spesso in violazione delle norme che regolano da sempre la distillazione.
    In molti piccoli produttori c'è ancora quel gusto di distillare, magari solo poche bottiglie, in clandestinità, per avere un ¨goccetto¨ da offrire agli amici sottolineando l'offerta con l'immancabile ¨questa è di quella buona, l' ho fatta io in casa, roba che fa resuscitare¨.
  • TOMBOLO – Anche questo come quello della ricamatrice era una attività tipica di un periodo ormai passato in cui le ragazze da marito non potevano fare a meno del corredo, anche se di modeste condizioni economiche. Difficile stabilire con esattezza il termine per indicare questo mestiere; molti lo chiamavano ¨lavoro a tombolo¨ per la forma cilindrica del grosso cuscino sul quale le donne svolgevano un paziente ed attento lavoro. Questo consisteva nel cucire e nell’intrecciare, inserendo tra tantissimi spilli, il cotone di vari colori. La gran prevalenza del lavoro veniva svolto per realizzare dei centri tavolo, delle grandi tovaglie e a volte anche dei copriletto.

Curiosità sull'abbigliamento: ... e alla festa vestivano così!

L'abbigliamento nella prima metà dell'800 va considerato come un sistema di comunicazione attraverso cui la comunità si rende visibile e identificabile all'esterno. I materiali, i tessuti, i colori, le forme, le linee ed i volumi ne definiscono le appartenenze e i confini tra il maschile ed il femminile, il feriale ed il festivo; fra ricchezza, prestigio, mestieri e stagioni.
I costumi collaborano fortemente alla fondazione ed al mantenimento del senso di appartenenza e di identità comunitaria. Con l'abbigliamento della propria comunità ci si può identificare, così come ci si identifica con la parlata locale, dando vita al costume che rappresenta quindi non solo il "costume" nel senso dell'abbigliamento, ma "costume" nel senso di modo di vivere, usanza, tradizione, comunanza, identificazione.
I costumi, nella colonna a destra rappresentati dall'acquarellista Karl Von Lutterotti, si riferiscono alle comunità di Bolbeno e Giudicariesi nella prima metà dell'800.

Il tratto fondamentale dell'abbigliamento femminile è la gonna allungata fino alle caviglie, corpetto attillato, con funzione anche di busto senza maniche e dunque con braccia disimpegnate, aperto sul davanti e fermato da cordoni e nastri. L'abito così formato era infilato sopra la camicia, portata lunga fino all'orlo della gonna e in vista nella parte superiore e nelle maniche, ed eventualmente sopra una sottogonna: una pettorina infilata sotto i nastri del corpetto poteva ulteriormente sostenere il seno. La parte anteriore della gonna era coperta da un grembiulino. La parte inferiore delle gambe era protetta da calze pannate e poi da calze a maglia.

L'abbigliamento maschile risponde ad un modello generale più moderno di quello che orienta l'abbigliamento femminile; cappello, camicia bianca, pantaloni aderenti e scesi fin sotto il ginocchio, panciotto o gilet di altro tessuto e colore, giacca a falde. A differenza delle donne per le quali bastava spesso l'acconciatura, gli uomini sono a capo coperto. I cappelli di feltro sono generalmente di colore scuro e a tese larghe.

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